Immersione
commemorativa in occasione del centenario dell'affondamento del Piroscafo
Marsala
Piroscafo Marsala
DATI RILEVANTI
Località: di fronte all'isola di Giannutri
Tipo di relitto: piroscafo da carico
Nazionalità: italiana
Cantieri di costruzione: Alexander Sthefen & Sons, Inghilterra
Armatore: Beraldo & Devoto, Genova
Stazza: 2274 tonnellate
Lunghezza: 80m
Data di costruzione: 1882
Data di affondamento: 2 luglio 1913
Causa dell'affondamento: collisione con il piroscafo italiano Campidano
Vittime: nessuna
Profondità massima: 107 metri
Profondità minima: 95 metri
Ore
07:00 – Il Piroscafo Marsala, naviga tranquillo
nelle placide acque del tirreno centrale.
Proveniente da Sfax, in
Tunisia con a bordo un carico di fosfato per lo stabilimento di
concimi chimici di Orbetello, è diretto a Santa Liberata per lo
sbarco della merce. A bordo è presente un equipaggio, formato
da 23 uomini, compreso il Comandante Giacomo Massa, che alla
partenza aveva imbarcato anche 4 passeggere.
Il comandante Massa era solito mettersi in mare
con i suoi affetti femminili, così, per questo viaggio, ha con se
sua moglie, sua cognata, una signora amica delle due e
la figlia di un notabile di Sfax, anche lei amica della moglie del
comandante.
A
quest’ora a bordo regna un silenzio quasi totale, oltre al lieve
scricchiolio delle assi di legno, si sente appena lo sciabordio
dello scafo che solca la superficie del mare, nessuna voce, nessun
movimento. A parte i marinai di turno, tutti dormono, comprese le
quattro donne ospiti del Comandante. Il mare è perfettamente
immobile, calmissimo e la fitta nebbia sovrasta la superficie
dell’acqua come una coltre che attutisce suoni e vista.
Ore 07:44 – La
nebbia è ancora molto fitta, impedisce pesantemente la vista ed il
Piroscafo Marsala, ormai prossimo alla destinazione, si trova nelle
vicinanze dell’isola di Giannutri.
Fatalità vuole che contemporaneamente, anche il
Piroscafo Campidano, del compartimento marittimo di Cagliari, al
comando del Capitano Arcidiacono, salpato da Cagliari e diretto a
Civitavecchia, solcasse lo stesso tratto di mare, in quel punto, a
poco più di un miglio e mezzo di distanza dall’isola. Anche da bordo
del Campidano non si scorge nulla, sono state prese tutte le
precauzioni, ma la nebbia è una coltre impenetrabile, c’è
un’atmosfera surreale, sembra di navigare nel nulla, sospesi
all’interno di una nuvola. All’improvviso la voce di un marinaio che
urla squarcia il silenzio. La sagoma di una nave si materializza
improvvisamente a pochi metri di distanza, l’impatto è immediato,
non c’è modo di far nulla.
Ore 07:45 –l’impatto è inevitabile,
il Campidano investe il Marsala tranciandolo quasi in due. Il
Marsala viene devastato ed imbarca acqua molto velocemente. La
violenza dell’urto sveglia tutti coloro che ancora dormono e
l’equipaggio reagisce fulmineamente mettendo in acqua le scialuppe
di salvataggio dove immediatamente, donne e marinai, tutti coloro
che si trovano a bordo, prendono velocemente posto. Una volta in
salvo, a bordo delle scialuppe, gli sguardi dei marinai si
incrociano con quelli delle quattro signore che, colte nel sonno,
hanno dovuto abbandonare la nave in
deshabillé, così come si trovavano qualche minuto prima nella
propria cuccetta di bordo. L’imbarazzo è generale, qualcuno offre
una giacca per uscire dall’empasse, ma quello che conta è che la
vita di tutti è salva!
Nel frattempo, l’equipaggio
del Piroscafo Campidano, che nell’urto riportava solo lievi danni,
si avvicina, mettendosi all’opera per trarre in salvo tutti coloro
che sono sulle scialuppe. All’appello manca solo la mascotte, un
cagnolino, che disperato abbaia alla deriva su una tavola di legno e
viene recuperato da una nave tedesca che passando nelle vicinanze si
offre di cooperare con le operazioni di salvataggio.
Ore 07:55 – Il
Marsala dopo dieci minuti dall’impatto sparisce sotto la superficie
del mare e qualche istante più tardi cozza su un fondale di 107
metri di profondità. L’impatto con il fondo del mare provoca
ulteriori danni alla struttura ormai debilitata del relitto.
Il Marsala, che in anni passati aveva partecipato
ai “viaggi della speranza” facendo traversate oceaniche e
trasportando gente disperata alla ricerca di una vita migliore nel
“nuovo continente”, ora riposa sul fondo del mare toscano senza aver
portato via la vita di nessuno che si trovasse a bordo, nemmeno
quella del simpatico cagnolino eletto a mascotte.
02
Luglio 2013
Ore 08:00 – I
subacquei sono appena arrivati sul molo di Porto Ercole. È una
giornata serena, l’aria è pulita ed il mare si preannuncia immobile.
Ore 08:30 –
Fervono i preparativi: Simone Nicolini, titolare del diving
“Argentario Divers”, ha organizzato un’immersione commemorativa per
il centenario dell’affondamento del Piroscafo Marsala. I subacquei
Simone Nicolini, Marco Donato, Michele Fedrigoli, Luca De Stefani ed
io (Rolando Di Giorgio – autore dell’articolo), si immergeranno sul
relitto, alla profondità di oltre cento metri, proprio nel giorno in
cui ricorre il centenario dell’affondamento.
Per effettuare questo tipo di immersioni sono
necessarie molte attrezzature e miscele respiratorie idonee. In
effetti nel gruppo ci sono tre tipi di configurazione: Michele e
Luca in Circuito Aperto (bombole), Marco ed io con rebreather
elettronico a circuito chiuso (ECCR) e Simone equipaggiato con
rebreather semichiuso ad alimentazione passiva (pSCR).
Ore 09:30 – Si
salpa da Porto Ercole. Il gommone è stracarico, con a bordo tutto
l’equipaggiamento necessario all’immersione dei cinque subacquei,
alcune bombole di emergenza, il pedagno da lanciare sul relitto, i
sub ed il barcaiolo di bordo, nonché assistente all’immersione.
Così, lasciati gli ormeggi di Porto Ercole, Vitale Colombaro, mette
prua alla volta di Giannutri, Way Point Relitto Marsala!
Ore 10:00 – Siamo
sul punto. Dopo una mezz’ora di navigazione in planata sulle acque
immobili che separano l’argentario dall’isola di Giannutri siamo nei
pressi del relitto.
La navigazione è stata molto piacevole: l’aria
tersa del mattino permette di vedere ampie porzioni di costa anche a
considerevole distanza, ad esempio, si vede chiaramente
Civitavecchia!
Così a distanza di cento anni il mare è
perfettamente calmo come il giorno dell’affondamento, ma la nebbia
del 2 Luglio 1913 è assente e lascia il posto ad una trasparenza
nell’aria davvero eccezionale.
Ore 10:15 – Il
pedagno è sul relitto. Simone, coadiuvato da Vito (Vitale), che
dirige il gommone perfettamente sulla verticale del relitto, ha
centrato in pieno la coperta del Marsala, che ad un paio di passaggi
successivi, conferma la sua presenza sullo schermo
dell’ecoscandaglio. Ora i iniziamo a prepararci. Simone, che guida
le operazioni, decide di scendere per primo insieme a Marco, per
verificare l’esattezza del posizionamento del pedagno lanciato. Io,
Michele e Luca, li seguiremo a distanza di dieci minuti.
Ore 11:10 – Ci
immergiamo, l’acqua appare decisamente bella, di un azzurro intenso
e pulito. Man mano che scendiamo la cima del pedagno scorre davanti
ai nostri occhi e mentre l’intensità della luce diminuisce, i colori
si modificano virando lentamente verso il blu sempre più scuro.
Quando mi trovo a circa 55 metri di profondità,
già inizio a vedere le sagome di Simone e Marco che si aggirano sul
relitto. Poco dopo li posso vedere chiaramente! Ci sono quasi
quaranta metri di colonna d’acqua fra me e loro e sono addirittura
riconoscibili! Vedo chiaramente Simone con in mano la macchina
fotografica intento a scattare delle immagini della memorabile
immersione.
Ore 11:15 – Sono
sul fondo. Allungo una mano e posso sfiorare il relitto che
silenzioso riposa qui sotto da cento anni. Il mio desiderio è di
andare subito nel punto di profondità massima, accanto al relitto,
dove si poggia sulla sabbia. Qui i miei due strumenti segnano uno
108 e l’altro 105 metri. Ma i miei pensieri sono a cento anni fa…
chissà quanto tempo ha impiegato il Marsala per percorrere i cento
metri che lo separano dalla superficie.. a me sono serviti poco più
di 4 minuti… lui? Sarà stato più lento a motivo della grossa massa
che faceva attrito con l’acqua, o una volta allagato, il suo enorme
peso lo ha fatto sprofondare velocemente? Mentre sono assorto con
questi pensieri aggiro l’enorme squarcio provocato dal naufragio e
trainato dallo scooter subacqueo sfilo nella zona di coperta che si
raccorda con la parte più integra della nave. In quel punto un pesce
luna di grossa taglia sosta a mezz’acqua librandosi fra i rottami e
mi guarda incuriosito. Riesco a vedere il movimento del suo occhio
sinistro che segue la mia sagoma, gli giro intorno e lui ruota su se
stesso per non perdermi di vista, continua a seguirmi con lo sguardo
finché non decido di cambiare direzione per dirigermi verso la poppa
del relitto.
L’emozione che provo nel sorvolare il ponte di
coperta del Marsala mi fa venire i brividi: sono passati quattro
anni dall’ultima volta che ci ero stato e i ricordi che avevo nella
mia mente ora si sovrappongono alle immagini catturate dagli occhi.
Come ricordavo, le parti in legno della nave sono crollate lasciando
scoperta la struttura in metallo, ci sono incrostazioni di vita
marina dappertutto, ostriche ovunque e un’aragosta fa capolino da un
riparo trovato fra le lamiere contorte. Entro nell’ingresso di una
stiva della nave e mi soffermo a scrutare al suo interno: è
parzialmente riempita di sedimenti, solo in un angolo, un foro
aperto sul pavimento crea una specie di cratere nella sabbia come se
tutto venisse risucchiato da quel buco.
Riprendo la perlustrazione del relitto, sono di
nuovo a sorvolare l ponte di coperta, incrocio quella che è
l’apertura del fumaiolo, tolgo il dito dall’acceleratore dello
scooter ed ancora con l’abbrivio della precedente propulsione, punto
il fascio di luce della lampada scrutandone velocemente l’interno.
Non vi scorgo nessun soggetto che richiami particolarmente la mia
attenzione, cosìtorno a
dare gas e proseguo oltre.
Cerco di immaginarmi questa nave così com’era
nellasua precedente
vita, quando invece di un’immobile rifugio per pesci e molluschi,
posato sul fondo del mare, era un piroscafo che solcava la
superficie alla velocità di 11 nodi. Mi sembra di vedere il
cagnolino mascotte della nave abbaiare appoggiato alla battagliola
del ponte di coperta. Immagino i marinai che freneticamente si
affollano fuori dagli alloggi per mettersi in salvo subito dopo
l’impatto con la Campidano. Poi... torno con gli occhi del presente
a scrutare il relitto: un luccichio attira il mio sguardo: è il
fascio luminoso della mia lampada che viene riflesso da qualcosa, un
oggetto rotondo, un vetro... sembra un oblò, ma la superficie del
vetro dovrebbe essere completamente opacizzata dalle incrostazioni
ed invece una scritta: “100” è stata tracciata su di lui, scoprendo
il vetro lucido sotto il sottile strato di sedimenti che lo
ricopriva. “Simone”, penso io, sicuramente sarà stato lui a voler
ricordare questo giorno speciale segnandone un ricordo delicatamente
sul relitto.
Il tempo qui sotto sembra eterno e immobile
eppure il costante controllo degli strumenti mi dice che per oggi
devo salutare questo bel posto. “Arrivederci Marsala”!
Ore 11:40 – Inizio
la risalita verso la superficie. Questo è il momento più delicato di
tutta l’immersione: la poesia, l’entusiasmo e le emozioni lasciano
lo spazio alla tecnica ed il controllo. Immergendomi con un
rebreather elettronico a circuito chiuso, dovrò non solo monitorare
(cosa che avviene anche nella fase di permanenza sul fondo) ma anche
adeguare la pressione parziale dell’Ossigeno (PpO2)
presente nella miscela respirata ai valori idonei e previsti nei
vari step della risalita per avere il profilo decompressivo
precedentemente pianificato. Il modello decompressivo che adopero è
il “Mnemonic Deco System UTRtek”.
La decompressione mnemonica prevede un profilo di
risalita a velocità differenziate, in modo da adeguare la
percentuale di diminuzione di pressione al tempo di cambio quota.
Tutto ciò perfettamente coordinato con il controllo della PpO2
e con i tempi di sosta a quote predeterminate, concorre a stilare
una curva di risalita molto dolce e progressiva. Il bello di questo
sistema è che permette di estrapolare il profilo deco direttamente
in immersione in base a tempo di fondo e variabili personali come
freddo, fatica, stress, carico di lavoro ecc. dando inoltre la
possibilità di modificare la decompressione in caso di avaria al
circuito chiuso con eventuale utilizzo di miscele in circuito
aperto.
Sto lentamente risalendo e controllo i dati
visualizzati sui display da polso del mio Hammerhead (il rebreather
che sto utilizzando per questa immersione). I dati rilevati dai tre
sensori per ossigeno non sono perfettamente allineati. Un piccolo
scostamento è normale, ma c’è una differenza fra i primi due ed il
terzo che non è da ignorare. Si tratta di quasi 0.2 Bar, non si
possono trascurare, anche se comunque tutti i sensori indicano una
PpO2 respirabile, ciò non è altrettanto vero per
l’efficienza decompressiva! Dunque ho necessità di sapere quale
sensore mi sta dicendo la verità: i primi due che rilevano valori
simili fra loro, o il terzo? Non mi resta che fare un lavaggio del
loop respiratorio con la miscela diluente, rilevare i valori letti,
paragonarli con quelli teorici e capire quale sensore funziona bene.
Così raggiungo una quota più “comoda”, mi
stabilizzo vicino alla cima di risalita e con calma eseguo il
lavaggio. L’operazione conferma la bontà di lettura dei sensori
numero 1 e 2, a discapito del terzo.
Adesso ho un riferimento certo: so che i primi
due sensori rilevano la reale PpO2 che sto respirando, ma
devo continuare la decompressione integrando manualmente l’ossigeno,
perché il valore erroneamente maggiore del terzo sensore, facendo
media con gli altri due, inganna l’elettronica che sbagliando pensa
di aver raggiunto il setpoint di PpO2 desiderato. Sarò
io, per tutta la risalita a dover compensare manualmente quella
differenza basandomi sulla lettura dei due sensori buoni.
Ore 14:25 –
Emersione. Dopo un run-time di 165 minuti metto la testa fuori
dall’acqua, il sole è alto e splende sereno e nella mia mente ci
sono ancora gli attimi passati sul magnifico relitto del Marsala!
Ora è il momento delle impressioni a caldo e con
gli altri subacquei ci confrontiamo per esprimere la gioia e la
soddisfazione di una bellissima immersione ricca di incontri,
emozioni e riferimenti al passato. Faccio subito una domanda a
Simone: “100 lo hai scritto tu vero?”